Architetta, designer, o artista? Difficile incasellare Nanda Vigo, ovvero “la signora della luce”, in una categoria ben definita: una progettista eclettica capace di unire questi tre mondi attraverso una ricerca personalissima sulla luce, lo spazio e il tempo. Una pioniera della Milano degli anni ’60, in grado di trovare il suo posto negli ambienti dell’arte e dell’architettura in un periodo in cui era rarissimo essere una donna e, ancor più, avere voce in capitolo.

Ma partiamo con ordine… nata nella città meneghina nel 1936, si avvicina sin da piccola al campo artistico grazie all’amico di famiglia Filippo de Pisis. L’amore per l’architettura, e ancor di più per il rapporto spazio-luce, nasce invece con la scoperta dell’opera di Terragni quando a circa sette anni, durane la guerra, vede la Casa del Fascio.
“Sono rimasta fulminata, in quel momento ho scoperto la bellezza; la luce che entrava all’interno del vetrocemento della facciata si scomponeva in miriadi di piccoli arcobaleni e continuava a mutare…”.
Decisa la strada da percorrere, si laurea all’Institut Polytechnique di Losanna e successivamente intraprende un viaggio-studio negli Stati Uniti alla ricerca di una visione progettuale complessiva e integrata tra architettura e arte. La delusione non tarda ad arrivare: i grandi studi americani con cui entra in contatto, primo tra tutti quello di Frank Lloyd Wright, sono iper-specializzati e strutturati come delle catene di montaggio in cui ognuno si occupa di un piccolo tassello – come è invece l’esperienza di Marion Mahony Griffin.

Rientrata in Italia decide di aprire il suo studio a Milano e si avvicina al fervente mondo culturale di quegli anni. L’incontro con Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani e il collettivo transnazionale ZERO la conduce a sperimentare quei discorsi sullo spazio e sul tempo che lei stessa codificherà nel 1964 con Il Manifesto Cronotopico. Una ricerca basata sulla dialettica tra luce e architettura, alla quale associa una forte valenza sensoriale: utilizzando tecnologie e materiali industriali come vetro stampato, specchi, neon, perspex e alluminio Nanda Vigo plasma l’elemento luminoso, sia esso naturale o artificiale, in qualsiasi configurazione fisica.
Partendo dai Cronotopi, parallelepipedi trasparenti o riflettenti che interagendo con fonti luminose generano illusioni ottiche e trasformazioni spaziali, il lavoro assume una dimensione sempre più esperienziale. Come nell’Ambiente cronotopico vivibile realizzato nel 1967 alla Galleria Apollinaire, dove il pubblico è invitato ad attraversare un cubo con pavimento e soffitto riflettenti e pareti “luminose” di cristallo e rhodoid, così da abitare l’opera in una sospensione spazio-temporale.

Una visione totalizzante che torna nella progettazione delle sue abitazioni. Da ZERO House, appartamento in cui i muri in vetro satinato interagiscono con neon colorati, alle cromatiche Casa gialla – per un cliente che viene dal sud e non sopporta la nebbia di Milano – Casa nera – per un collezionista che vuole ammirare i quadri a lume di candela – e Casa blu. Luoghi avanguardistici, quasi iperspaziali, che trovano la consacrazione ne Lo Scarabeo sotto la foglia, residenza progettata in collaborazione con Giò Ponti per il curatore d’arte Giobatta Meneguzzo. Qui l’architetta sperimenta alcune scelte stilistiche che diventeranno elementi ricorrenti nelle produzioni future. L’ambiente continuo a pianta centrale viene infatti interamente rivestito con piastrelle in ceramica smaltata bianca 20×20 cm; un involucro riflettente e brillante che fa da fondale ad arredi foderati in pelliccia sintetica grigia e alle opere d’arte.

Contrasti, sperimentazioni, giochi di luce e rifrazioni che caratterizzeranno tutta la sua produzione. Tasselli di una carriera vivace, durata più di sessantacinque anni, durante la quale Nanda Vigo ha organizzato e preso parte a più di 400 mostre, è stata omaggiata con numerosi premi nazionali e internazionali e ha progettato interni, installazioni e oggetti di design, non solo nel settore illuminotecnico. Sempre alla ricerca di quelle riflessioni luminose, capaci di rimbalzare l’architettura e illuminarci.